Da Firenze a Gaza per curare i feriti: la missione di Caterina

di Mattia Lo Coco

Immaginate di passare dalla terapia intensiva di un ospedale all’avanguardia come il San Giovanni di Dio di Firenze, a una clinica in piena zona di guerra. È la storia di Caterina Zuti, infermiera fiorentina che, dopo due mesi intensi, è appena tornata dalla sua missione umanitaria a Gaza con Emergency. Un’esperienza che l’ha messa di fronte a una realtà completamente diversa, fatta di sfide e speranze in un contesto di conflitto, e che ha segnato profondamente il suo percorso professionale e umano.

Gaza: una “prigione a cielo aperto” dove la vita continua

“È un’esperienza davvero particolare essere in una specie di prigione a cielo aperto,” racconta Caterina, con la voce che tradisce un misto di serietà e profondo rispetto per il luogo e la gente. La sua “base” è una clinica di Emergency ad Al-Qarara, in quella che un tempo era una zona “umanitaria”. Lì, lei e il suo team davano assistenza medica di base, stabilizzavano i pazienti prima di eventuali trasferimenti e si occupavano del follow-up infermieristico post-operatorio, curando ferite di ogni tipo, anche quelle più complesse e legate al conflitto.

La clinica si trova in un campo profughi, garantendo supporto vitale a una popolazione allo stremo, costretta a vivere sotto la costante minaccia di violenza. Anche se la clinica si trova in una zona che non dovrebbe essere coinvolta da bombardamenti, in quanto precedente zona umanitaria, la guerra si sentiva eccome: “La guerra è tutta intorno a noi,” spiega Caterina, sottolineando come le conseguenze del conflitto siano tangibili ogni giorno. Rumori di bombe, spari, aerei e razzi erano la colonna sonora quotidiana, eppure, grazie all’organizzazione impeccabile di Emergency, non ha mai avuto paura. “Mi sono sempre sentita al sicuro,” conferma, riconoscendo nella sicurezza del personale uno dei principi fondamentali dell’ONG. La gente del posto, spinta a rifugiarsi proprio nell’area dove opera la clinica, ha avuto un bisogno enorme e disperato di cure, facendo aumentare notevolmente il numero dei pazienti, molti dei quali arrivavano dopo aver percorso chilometri a piedi.

Una Vocazione Lunga Anni: Il Sogno di Emergency

L’impegno di Caterina con Emergency non è affatto un caso, ma il punto d’arrivo di una passione profonda e di una vocazione maturata nel tempo. “È sempre stata un po’ la mia fissa,” rivela, parlando di Emergency come di un’organizzazione “unica” e quasi un “mito” in Italia. Questa ammirazione ha guidato i suoi studi e la sua carriera, spingendola verso l’ambito delle emergenze e della terapia intensiva. I principi di Emergency, come la sostenibilità dei progetti, le cure gratuite per tutti e l’attenzione instancabile ai civili – che sono sempre le prime e innocenti vittime delle guerre – sono stati i pilastri che l’hanno mossa. “Essere lì per loro, per proteggere il più possibile i civili, è un grandissimo onore,” dice con convinzione, un’affermazione che racchiude il senso profondo del suo lavoro.

Entrare in Emergency non è facile, è un percorso rigoroso. Si inviano candidature per posizioni aperte o anche solo per una disponibilità generica, si passa un processo di selezione con interviste e verifiche, e una volta approvati, si entra a far parte di un “pool” di infermieri pronti a partire in caso di necessità. Nessuno è obbligato ad accettare le missioni proposte, ma per Caterina l’opportunità di andare a Gaza, dopo la sua precedente esperienza di sei mesi in Afghanistan, era troppo importante per rifiutare.

La dura vita quotidiana a Gaza: lavoro, formazione e vita comune

La giornata a Gaza era scandita dal lavoro in clinica, dalle 8 del mattino alle 2 del pomeriggio. Oltre ad assistere i pazienti, il team si dedicava con impegno alla formazione dello staff palestinese, organizzando lezioni su temi sanitari basati sulle esigenze reali riscontrate. Un esempio lampante è stata la ripassata sulla malnutrizione, resa necessaria per la grave carenza di aiuti, cibo e medicine che affliggeva la popolazione. Queste lezioni, spesso tenute direttamente dai medici e dagli infermieri palestinesi, servivano a mantenere alto il livello di preparazione e a trovare soluzioni pratiche ai problemi quotidiani. Il pomeriggio era dedicato alla gestione e organizzazione della clinica, dagli ordini in farmacia alla ricerca di soluzioni per migliorare l’assistenza.

Il personale internazionale vive in un compound, un’area protetta ma senza armi, in linea con la politica di Emergency di rifiuto della violenza. La comunicazione è essenziale in un ambiente così teso, e la convivenza con persone di diverse nazionalità (il personale è internazionale e si parla principalmente inglese) crea un legame forte, quasi una seconda famiglia, indispensabile per alleggerire lo stress e supportarsi a vicenda. “La comunicazione è tutto,” sottolinea Caterina, “non solo per lavoro ma anche per socializzare, perché diventano la tua seconda famiglia.”

Caterina ricorda episodi toccanti, che mostrano la fragilità e la resilienza della popolazione. L’ha colpita in particolare una madre, arrivata con il figlio per una piccola escoriazione da caduta in bicicletta, che è scoppiata in un pianto inconsolabile. Un pianto di sfogo che racchiudeva tutto il dolore per i parenti persi, i “martiri” come li chiamano lì. “Alla fine chi ci rimette davvero è la gente comune,” ribadisce Caterina, evidenziando come la clinica si occupi anche di malattie croniche, spesso trascurate in tempo di guerra ma altrettanto pericolose se non curate, come il diabete o l’ipertensione.

Il rientro a casa: il peso del privilegio e la dignità di Gaza

Tornare a casa dopo due mesi di missione è stato un misto di sollievo e un po’ di senso di colpa. “È stato difficile pensare che sarei uscita e magari non avrei più rivisto quelle persone,” ammette Caterina, consapevole del suo privilegio di poter “scegliere come vivere.” La semplicità della vita occidentale, dove il cibo, l’acqua potabile e un tetto sopra la testa sono scontati, contrasta duramente con la quotidianità a Gaza, dove trovare cibo, spostarsi per lavoro o persino avere una casa sono sfide quotidiane e spesso insormontabili. Molte persone, racconta, sono state sfollate mentre lei era lì, perdendo tutto ciò che avevano costruito.

Nonostante le difficoltà, Caterina è rimasta profondamente colpita dalla “dignità e tranquillità” della popolazione palestinese, una calma quasi incomprensibile di fronte a tanta sofferenza. Racconta di un collega infermiere che è diventato padre durante la missione, un evento che ha portato gioia e un senso di normalità in mezzo alla guerra, dimostrando la capacità di andare avanti nonostante tutto. Anche la sua famiglia, amici e colleghi in Italia hanno vissuto momenti di forte preoccupazione, ma sempre con grande supporto e orgoglio.

Il futuro tra terapia intensiva e nuove missioni

Ora Caterina è tornata al suo lavoro nella terapia intensiva dell’Ospedale San Giovanni di Dio, un reparto che, pur essendo diverso dalla clinica di Gaza, le permette di continuare a mettere in pratica la sua visione di assistenza a 360 gradi, che unisce l’aspetto tecnico avanzato all’umanità più profonda. “È molto bello,” spiega, “prendersi cura totalmente di un paziente, è la mia visione di infermiere.”

Nonostante non ci siano piani immediati per altre missioni, Caterina non esclude di partire di nuovo con Emergency: “Mi piacerebbe dare continuità, magari tornare e vedere come sono cambiate le cose.” La gratitudine per l’esperienza vissuta e il desiderio di dare un contributo concreto rimangono forti, a testimonianza di un impegno che va oltre il singolo incarico. Un impegno che, come le ferite che ha curato, lascia un segno profondo, ma anche la consapevolezza che, nonostante la guerra, la speranza può sempre trovare la sua strada.

L'autrice / autore

Sono Mattia, quello che viaggia sulle due ruote con il vento fra i capelli, pronto a vivere ogni istante al massimo. Amo spingermi ai limiti delle emozioni e vivere in compagnia delle persone che mi fanno vibrare il cuore. Pronti a partire con me in questa avventura piena di sorprese e divertimento? La vita è troppo breve per non godersela fino in fondo!